Titolo abilitativo: va richiesto da tutti i comproprietari, altrimenti decade

Il titolo abilitativo deve essere richiesto obbligatoriamente da tutti i comproprietari. In caso contrario decade e non ha alcun valore.

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L’esecuzione dei lavori in un qualsiasi immobile richiede il consenso espresso da parte di tutti i comproprietari. Il titolo abilitativo è inefficace – non importa che si tratti di SCIA o CILA – per l’esecuzione dei lavori se non arriva il via libera da tutti i comproprietari. 

Il principio che abbiamo appena enunciato è ormai consolidato. E si va ad esplicare nel momento in cui il progetto sia stato predisposto da un unico comproprietario di un immobile e vada ad incidere sul diritto degli altri comproprietari. Spetta all’amministrazione competente, nel momento in cui esamina la domanda di permesso di costruire, ottenere l’assenso dei contitolari dell’immobile in comproprietà

Volendo sintetizzare al massimo, si può affermare che per i lavori è necessario l’assenso di tutti i contitolari. A sottolinearlo è, attraverso la sentenza n. 519 del 10 giugno 2024, il Tar della Lombardia, che ha respinto un ricorso per l’annullamento del provvedimento di sospensione dei termini per l’efficacia di una SCIA, nella quale era prevista la non esecuzione dei lavori.

Ma entriamo nel dettaglio ed analizziamo cosa ha previsto il Tar della Lombardia.

Titolo abilitativo, serve il consenso di tutti i comproprietari

La sentenza n. 519 del 10 giugno 2024 del Tar della Lombardia prende spunto da una situazione ben precisa. Una domanda di SCIA era stata presentata da una comproprietaria di un immobile che deteneva un terzo della proprietà. La richiedente intendeva realizzare delle opere di manutenzione straordinaria, che consistevano nella sostituzione della copertura.

Nella documentazione allegata alla SCIA aveva provveduto ad allegare una dichiarazione a propria firma, nella quale, per dimostrare la propria legittimazione a presentare la SCIA indipendentemente dal consenso degli altri comproprietari:

  • aveva presentato al Tribunale civile – a seguito dell’inerzia degli altri comproprietari – un ricorso per un accertamento tecnico preventivo. Il giudice aveva nominato un CTU che aveva confermato la necessità di provvedere con la massima urgenza ad eseguire una serie di opere per la conservazione dell’immobile;
  • l’istante sostiene di avere il pieno diritto ad eseguire le opere in questione. In seguito si sarebbe potuta rivalere sugli altri comproprietari per ottenere il rimborso delle spese pro quota;
  • veniva richiamato esplicitamente l’articolo 110 del Codice Civile, nel quale viene indicato che: “il partecipante che, in caso di trascuratezza degli altri partecipanti o dell’amministratore, ha sostenuto spese necessarie per la conservazione della cosa comune, ha diritto al rimborso”.

Il Comune, in un secondo momento, aveva ricevuto una nota da parte delle altre due comproprietari, che non avevano sottoscritto la SCIA, nella quale dichiaravano di essere in disaccordo con l’esecuzione dei lavori, sostenendo la non legittimità del titolo abilitativo, perché non era presente l’autorizzazione di tutti i comproprietari.

La situazione che si era venuta a generare ha comportato l’apertura di un procedimento di verifica della regolarità della SCIA, che si è concluso con il provvedimento di sospensione dell’efficacia.

Titolo abilitativo, le verifiche dell’amministrazione

Il problema non si è fermato nei corridoi del comune ma è sfociato in un ricorso che è arrivato fino al Tar, che lo ha respinto. Il giudice ha spiegato che l’autorità – ai sensi di quanto è stato disposto dall’articolo 11, comma 1 e 20, comma 1, del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia) – ha il dovere di accertare il possesso del requisito della legittimazione. Deve avere, in altre parole, un titolo di proprietà o di godimento sul bene oggetto degli interventi edilizi.

Entrando ancora di più nel caso specifico, il principio consolidato prevede che qualora il progetto dovesse provenire da un comproprietario di un immobile e sia destinato ad incidere sul diritto degli altri comproprietari, l’amministrazione deve rilasciare il titolo abilitativo dopo aver ottenuto l’assenso di tutti i comproprietari dell’immobile.

Proprio su questo argomento è stato affermato che:

Il soggetto legittimato alla richiesta del titolo abilitativo deve essere colui che ha la totale disponibilità del bene, non essendo sufficiente la proprietà di una sola sua parte o quota. Il singolo comproprietario, quindi, non può essere legittimato, per l’evidente ragione che diversamente opinando il suo contegno autonomo finirebbe per pregiudicare i diritti e gli interessi qualificati dei soggetti con cui condivide la posizione giuridica sul bene oggetto di provvedimento.

I diritti del singolo comproprietario

La presentazione della domanda per ottenere il titolo abilitativo è legittima quando viene presentata dal singolo comproprietario. Ma solo e soltanto se la situazione permette di supporre l’esistenza della cosiddetta pactum fiduciae tra i vari comproprietari.

Il titolo abilitativo, in caso contrario, deve ritenersi illegittimo quando viene rilasciato sulla base della richiesta di un solo comproprietario. L’amministrazione competente ha l’obbligo di verificare la sussistenza in capo al richiedente di un titolo idoneo al godimento sull’immobile. E deve verificare la legittimazione soggettiva di quest’ultimo. Nel caso preso in esame non manca solo l’autorizzazione degli altri comproprietari, ma questi ultimi avevano anche espresso il proprio dissenso alla realizzazione dei lavori.

La CTU non è sufficiente

L’immobile in questione è in stato di precarietà e di degrado, così come è stato accertato dal CTU nominato dal Tribunale Civile a seguito di un accertamento tecnico preventivo. Questo, ad ogni modo, non consentiva ad un comproprietario di procedere unilateralmente con l’esecuzione dei lavori e alla richiesta del titolo abilitativo.

Il dissenso espresso apertamente dagli altri comproprietari, ai fini pratici, impone alla ricorrente di attivare il rimedio civilistico previsto dall’articolo 1105, comma 3 del Codice Civile, il quale prevede che: 

Se non si prendono i provvedimenti necessari per l’amministrazione della cosa comune o non si forma una maggioranza, ovvero se la deliberazione non viene eseguita, ciascun partecipante può ricorrere all’autorità giudiziaria. Questa provvede in camera di consiglio e può anche nominare un amministratore.

Nel caso in cui questo giudizio fosse risultato vittorioso, la ricorrente avrebbe potuto superare il dissenso degli altri comproprietari e richiedere in via unilaterale il titolo abilitativo per eseguire i lavori.

Pierpaolo Molinengo

Autore

Pierpaolo Molinengo

Ho una laurea in materie letterarie. Ho iniziato ad occuparmi di Economia fin dal 2002, concentrandomi dapprima sul mercato immobiliare, sul fisco e i mutui, per poi allargare i miei interessi ai mercati emergenti ed ai rapporti Usa-Russia. Scrivo di attualità, tasse, diritto, economia e finanza.

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