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Tra le conseguenze derivate dall’emergenza Covid-19 vi è sicuramente la necessità di un’attenta pianificazione del passaggio generazionale delle imprese dato che risulta evidente come il verificarsi di eventi imprevisti possa riversarsi sulle scelte personali ma anche imprenditoriali.

A riguardo, uno degli strumenti di indubbia efficacia predisposti dal nostro sistema giuridico è il patto di famiglia che, previa predisposizione per atto pubblico a pena di nullità, permette all’imprenditore di regolare la successione della propria impresa trasferendone titolarità e gestione ai propri discendenti. Si tratta di un istituto che, garantendo l’impresa trasferita da eventuali rivendicazioni da parte degli altri familiari aventi diritto ad una parte dell’eredità dell’imprenditore, consente anche che siano rispettati i diritti di questi ultimi.

E’ l’articolo 768-quater, comma 1, Codice civile che si occupa del patto di famiglia stabilendo che alla stipula dell’accordo debbano imprescindibilmente partecipare:

  • il titolare dell’azienda e/o delle partecipazioni societarie;
  • il beneficiario del trasferimento che può essere unicamente un discendente dell’imprenditore;
  • i familiari legittimari, ovvero coloro che avrebbero diritto ad una quota di legittima se in quel momento si aprisse la successione dell’imprenditore.

Secondo la normativa di riferimento, il beneficiario del trasferimento è tenuto a liquidare gli altri partecipanti al patto, qualora questi non vi rinuncino in tutto o in parte, con il pagamento di una somma di denaro corrispondente almeno al valore delle quote di legittima; oppure è possibile pattuire che la liquidazione avvenga, in tutto o in parte, in natura.

Dal punto di vista fiscale, il patto di famiglia non prevede una normativa fiscale specifica ed è quindi necessario rifarsi alle norme fiscali generali ed ai chiarimenti forniti dall’agenzia delle Entrate, secondo la quale il patto di famiglia è inquadrabile tra gli atti a titolo gratuito. Stando a questa impostazione il trasferimento delle partecipazioni con il patto di famiglia ai fini delle imposte dirette non costituisce quindi fattispecie imponibile in capo al disponente ed ai beneficiari. L’articolo 67, comma 1, del Tuir, infatti, regolando esclusivamente i trasferimenti di partecipazioni a titolo oneroso, consente la tassazione solo degli eventuali plusvalori della partecipazione trasferita al momento di un’eventuale ulteriore cessione a titolo oneroso della stessa compiuta dai beneficiari; inoltre, evita la tassazione Irpef delle somme liquidate ai legittimari al fine di evitare la lesione della quota di legittima.

Stando poi alle previsioni dell’art.3 comma 4 ter del TU Successioni e Donazioni, in caso di trasferimento di aziende, rami d’azienda, azioni e quote sociali a favore di coniuge e discendenti, anche per il mezzo del patto di famiglia, qualora questi ultimi continuino la attività aziendale per almeno cinque anni e, limitatamente alle società di capitali, qualora essi attraverso il trasferimento di partecipazioni acquisiscano o integrino il requisito del controllo ai sensi dell’articolo 2359 del Codice civile, gli stessi potranno godere dell’esenzione da imposta di donazione, ed eventualmente, in caso di trasferimento di ditte individuali, anche dell’esenzione da imposta ipotecaria e catastale.

Riassumendo, dunque, con il patto di famiglia l’imprenditore è libero di regolare la successione della propria impresa trasferendone titolarità e gestione ai propri discendenti, senza che da ciò derivino rivendicazioni da parte degli altri aventi diritto ad una parte dell’eredità; a questo si aggiunge l’indubbia convenienza dal punto di vista fiscale.

Avv. Francesca Micheli

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Avv. Francesca Micheli

Francesca Micheli è avvocato del foro della Spezia. Esperta in diritto civile, della famiglia e delle successioni ha svolto negli anni numerosi corsi di formazione e convegni presso ordini professionali sia in aula che in modalità webinar, oltre a svolgere la libera professione nel proprio foro di appartenenza.

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