Le successioni con elementi di internazionalità possono, a volte, creare delle difficoltà circa l’individuazione della loro legge regolatrice.
Può accadere, infatti, che un cittadino straniero sia titolare di beni in Italia e, al momento della sua morte, si pone la questione di stabilire quale sia la legge applicabile alla sua successione.
Per i Paesi UE dal 17 agosto 2015 trova applicazione il Regolamento Europeo n. 615/2012 che stabilisce che le successioni internazionali sono regolate dalla legge di “residenza abituale” del de cuius, salvo che quest’ultimo con apposita dichiarazione (c.d. “professio iuris”) abbia scelto di applicare la legge dello Stato di cui ha la cittadinanza.
In sostanza, con il Regolamento UE viene invertito il criterio precedentemente stabilito dalla Legge n. 218/1995 (diritto internazionale privato) che dava, invece, prevalenza alla cittadinanza del de cuius, il quale poteva comunque scegliere con la professio di applicare la legge del Paese di residenza.
Il Regolamento Europeo, in alcuni casi, non trova però applicazione; ad esempio non si applica ai cittadini inglesi (e ciò anche prima della Brexit in quanto il Regolamento UE era fin dall’origine espressamente escluso per Inghilterra, Irlanda e Danimarca).
Per i cittadini inglesi, quindi, continua ad applicarsi la L. n. 218/1995.
Cosa accade allora ad un cittadino inglese residente in Italia che muore in Italia e che era proprietario di beni mobili in Inghilterra ed immobili in Italia?
Una fattispecie di tal genere è stata affrontata dalla Cassazione a Sezioni Unite con la sentenza n. 2867 del 5 febbraio 2021 che ha esaminato il caso di un cittadino inglese deceduto in Italia che aveva beni mobili in Inghilterra e beni immobili in Italia, il quale aveva una seconda moglie italiana e due figli nati da un precedente matrimonio in Inghilterra.
La Suprema Corte ha, innanzi tutto, stabilito che, non essendoci una diversa disposizione del de cuius, la legge regolatrice della sua successione doveva essere la legge inglese, in quanto legge nazionale ai sensi della L. n. 218/1995.
In virtù del rinvio alla legge inglese, si determina una scissione del patrimonio ereditario: per i beni mobili si applica la legge del “domicilio abituale” del defunto (intendendo con tale termine non il domicilio di cui all’art. 43 del codice civile italiano ma il territorio con cui il soggetto ha un collegamento molto stretto, che nel caso in esame è stato ritenuto essere l’Inghilterra quale Paese di nazionalità del defunto), mentre per i beni immobili si applica la lex rei sitae ovvero la legge dello Stato in cui si trovano gli immobili (e cioè, nel caso esaminato dalla Cassazione, l’Italia).
Questa scissione delle successioni, e delle leggi applicabili, pone l’ulteriore quesito se debba applicarsi integralmente la legge italiana anche per quegli aspetti che non sono previsti dall’ordinamento inglese, quale in particolare la tutela dei soggetti considerati legittimari dalla legge italiana (sostanzialmente coniuge e figli).
Sul punto la Cassazione a Sezioni Unite sopra richiamata ha affermato che poiché con la scissione si verifica in sostanza una formazione di due masse regolate diversamente in base a ciascuna legge applicabile, ciascuna massa sarà “assoggettata a differenti regole di vocazione e di delazione, ovvero a diverse leggi che verificano la validità e l’efficacia del titolo successorio (anche, nella specie, con riguardo ai presupposti, alle cause, ai modi ed agli effetti della revoca del testamento), individuano gli eredi, determinano l’entità delle quote e le modalità di accettazione e di pubblicità ed apprestano l’eventuale tutela dei legittimari”
Sulla base di tale principio si potrebbe dunque ritenere che, nel caso come quello in esame, limitatamente ai beni immobili che formerebbero una massa autonoma e separata regolata dalla legge italiana, coniuge e figli possono agire per la tutela dei diritti di riserva previsti dalla legge italiana.