Alcuni dubbi e perplessità accomunano molti professionisti che devono gestire lo stato legittimo di un immobile. Nel caso in cui fosse stato costruito prima del 1967, quale documentazione è necessario produrre? È sufficiente presentare la planimetria originale o un atto notarile? Volendo girare in parte il punto di vista: quando spetta alla pubblica amministrazione dimostrare che le opere sono state realizzate abusivamente, prima di emanare un provvedimento di demolizione?
In diverse occasioni i tecnici si sono trovati nella necessità di affrontare problematiche che hanno a che fare con dei presunti abusi edilizi che, almeno in linea teorica, sarebbero stati realizzati prima della Legge n. 765 del 6 agosto 1967, ossia la cosiddetta Legge Ponte, attraverso la quale è stato introdotto l’obbligo di ottenere il permesso di costruire all’interno dei centri abitati. A partire dal 1° settembre 1967, infatti, è obbligatorio essere in possesso della licenza edilizia. Situazione che almeno da cinquant’anni a questa parte ha fatto sì che si aprissero una serie di contenziosi, attraverso i quali:
- si è riusciti a dimostrare la realizzazione dei manufatti prima del 1° settembre 1967;
- è stato confermato che l’onere della prova spetta al privato che deve presentare la documentazione attraverso la quale sia possibile dimostrare l’epoca in cui il manufatto è stato costruito. E quindi attestarne la legittimità.
Stato legittimo, l’intervento del Tar del Lazio
A fare il punto della situazione sullo stato legittimo e a ribadire quanto abbiamo visto fin qui è la sentenza n. 8031 del 24 aprile 2025 del Tar del Lazio, attraverso la quale i giudici hanno fornito una serie di importanti chiarimenti sul valore probatorio che hanno gli atti redatti prima del 1967. Ma soprattutto è stato indicato come debba essere applicato in maniera corretta l’articolo 9-bis, comma 1-bis, del Dpr n. 380/2001 – ossia il Testo Unico Edilizia – uno dei riferimenti più importanti per definire quale debba essere lo stato legittimo degli immobili.
La presa di posizione del Tar del Lazio ha preso il via da un caso specifico: un Comune aveva emanato un provvedimento di demolizione con annessa sanzione amministrativa di 15.000 euro per alcune opere che erano state ritenute abusive e che nello specifico sono le seguenti:
- la chiusura di un balcone la cui superficie è di 4 metri quadrati;
- la costruzione di un balcone retrostante in struttura armata da 14 metri quadrati;
- due finestre sono state trasformate in porte-finestre.
Stando a quanto affermava il Comune non era presente, all’interno dei propri archivi, alcuna traccia delle opere realizzate: le stesse, quindi, dovevano essere necessariamente abusive. Questo assunto ha fatto partire l’ordine di demolizione con conseguente ripristino dello stato dei luoghi.
Il proprietario dell’immobile, però, ha fornito la planimetria allegata all’atto di compravendita datato 1958, dal quale risultava che le opere contestate erano già presenti in quel momento. Per i suddetti manufatti, quindi, non è necessario il titolo edilizio, essendo antecedenti al 1° settembre 1967.
Come si deve definire lo stato legittimo
Prima di addentrarci nella presa di posizione del Tar del Lazio è bene comprendere come si sia evoluto, nel corso del tempo, il concetto di stato legittimo. Prima che entrasse in vigore il Decreto Legge n. 69/2024 – convertito nella Legge n. 105/2025, il cosiddetto Salva Casa – a fornire una definizione di stato legittimo ci aveva pensato l’articolo 9-bis, comma 1-bis del Dpr 380/2001, secondo il quale era la condizione dell’immobile risultante dai seguenti elementi:
- un titolo edilizio che abbia previsto la costruzione o ne abbia legittimato la stessa;
- ultimo titolo attraverso il quale è stato disciplinato un intervento edilizio successivo;
- i dati catastali di primo impianto o altri atti pubblici o privati con data certa.
La nuova disciplina ha sostanzialmente modificato la disciplina. È stata confermata la possibilità di dimostrare lo stato legittimo attraverso:
- un titolo abilitativo attraverso il quale ne sia stata prevista la costruzione o ne sia stata legittimata la stessa;
- il titolo rilasciato o assentito, attraverso il quale sia stato disciplinato l’ultimo intervento edilizio sull’immobile. L’amministrazione competente, però, deve aver accertato la legittimità dei titoli pregressi;
- i titoli successivi attraverso i quali siano stati abilitati degli interventi parziali.
Le prove per dimostrare lo stato legittimo
Torniamo, quindi, alla presa di posizione del Tar del Lazio. I giudici hanno richiamato l’articolo 9-bis, comma 1-bis, del Dpr n. 380/2001, il quale prevede due differenti casi per i quali il titolo abilitativo possa mancare:
- perché nel momento in cui l’immobile è stato costruito non era richiesto;
- non risulti essere reperibile, ma sia presente il principio di prova della legittimità dell’opera.
Quando si viene a verificare uno dei due casi che abbiamo appena visto, lo stato legittimo può essere dimostrato attraverso:
- dei documenti catastali di primo impianto;
- fotografie;
- atti notarili;
- estratti cartografici;
- qualunque documentazione coerente e attendibile.
Nel caso preso in esame la planimetria del 1958 allegata ad un atto pubblico di compravendita è sufficiente.
Quando l’onere della prova spetta al Comune
Nel caso preso in esame il privato aveva assolto l’onere della prova, a fronte della quale è stato dimostrato che l’opera venne realizzata prima del 1967, spetta alla Pubblica Amministrazione dimostrare l’eventuale obbligo di titolo edilizio, fatto che, nel caso preso in esame, non è stato dimostrato.
Il ricorso è stato accolto.
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