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Oltre ad interpretare i vari decreti emanati per difenderci dal contagio stiamo aspettando, come elemento fondamentale della Fase due, la famigerata applicazione volta al tracciamento dei contagi Covid -19, meglio conosciuta come APP IMMUNI.

In attesa della sua uscita però si rincorrono opinioni discordanti, non tanto in merito alla sua utilità ai fini del tracciamento delle linee di contagio, quanto piuttosto in merito alla sua “legittimità” in riferimento alla privacy.

Vero che veniamo da un periodo anomalo in cui le nostre libertà personali, garantite dalla nostra costituzione, sono state pesantemente limitate, ma davvero questa nuova App nasconde una segreta volontà dei nostri rappresentanti di prorogare le limitazioni alla nostra libertà, addirittura secondo alcuni, trasformandoci in uno stato di regime? O forse intacca solo minimamente la nostra privacy per difendere un bene superiore quale la salute della collettività?

Premesso che, almeno in questa occasione, si sentono lamentele per la violazione della privacy spesso  scritte sui social network da persone che hanno l’abitudine di condividere proprio tramite tali mezzi le loro informazioni personali, rendendo quindi la loro accusa nei confronti della App piuttosto debole, comunque, su richiesta della Presidenza del Consiglio dei Ministri l’Autorità Garante per la Privacy ha emesso un parere ai sensi di cui all’art. 36, par. 4, GDPR.

In risposta, peraltro tendenzialmente favorevole, in merito ai contenuti della App, il Garante ha pubblicato il provvedimento 79/2020.

Queste le considerazioni positive, in merito alla protezione dei dati personali:

la App innanzi tutto sarà scaricabile su base volontaria; chi non vorrà essere tracciato, ancorché per esigenze limitate alle sole ragioni di salute, potrà quindi non effettuare il download sul proprio telefono. Certo vi è da dire che, dato che la App raggiunge il suo scopo di mappatura solo se una buona percentuale di cittadini la scarica, aggiungere chi sceglie di non procedere al download a coloro che già di fatto non la potranno scaricare (anziani e bambini per esempio), rischia di renderla di fatto inutile.

Il trattamento dei dati è poi minimizzato e limitato allo scopo di tracciamento sanitario e non ad altri scopi magari più invasivi e, soprattutto, i dati saranno protetti da una reciprocità di anonimato; i dati che consentono di tracciare l’ubicazione di prossimità, infatti, non saranno condivisi tra gli utenti/cittadini, i quali si limiteranno a ricevere un alert allorquando sia stato riscontrato un contatto di prossimità con un soggetto risultato poi positivo al Covid.

L’unico effettivo rischio che si può prevedere è quello che, magari, a seguito di un attacco hacker, la realtà informatica che gestisce i dati li perda o, ancor peggio, ne subisca la diffusione; in questo caso infatti la diffusione dei dati, collegati alla positività dei soggetti tracciati e quindi dati relativi alla salute del singolo cittadino, potrebbe causare non pochi danni.

Certamente ci saranno in futuro ulteriori controlli e prescrizioni dal Garante e, altrettanto certamente, i dati personali riferiti alla salute del singolo cittadino devono essere protetti con ogni mezzo ma, detto questo, davvero è il momento di fare una guerra di principio ad una app creata per proteggere la nostra salute e analoga a quelle che in altri paesi hanno contribuito ad abbattere, se non addirittura a azzerare il contagio? O forse, in questo nuovo mondo in cui il coronavirus ci ha “buttato” dovremo rivedere tutte le nostre regole di interazione sociale, ivi comprese anche le regole di protezione dei nostri dati personali?

Le risposte le avremo, forse, nei prossimi mesi.

Avv. Francesca Micheli

Autore

Avv. Francesca Micheli

Francesca Micheli è avvocato del foro della Spezia. Esperta in diritto civile, della famiglia e delle successioni ha svolto negli anni numerosi corsi di formazione e convegni presso ordini professionali sia in aula che in modalità webinar, oltre a svolgere la libera professione nel proprio foro di appartenenza.

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