Condono edilizio, quali limiti sono imposti dai vincoli paesaggistici

I vincoli paesaggisti impongono alcuni limiti per ottenere il condono edilizio. Sull’argomento è intervenuto il Tar del Lazio.

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Il cambio di destinazione d’uso verticale in zona vincolata non può essere regolarizzato attraverso un condono edilizio. Di questo parere è il Tar del Lazio che, proprio in questi giorni, è intervenuto sull’argomento, fornendo una serie di indicazioni sulle regole per poter accedere al terzo condono edilizio quando sono presenti particolari situazioni.

Ma entriamo un po’ nel dettaglio e cerchiamo di capire quali indicazioni hanno fornito i giudici laziali.

Quanto incidono i vincoli paesaggistici sul cambio d’uso verticale

Uno dei temi di maggiore dibattito tra i professionisti del settore è quello relativo al cambio di destinazione verticale per gli immobili che insistono in territori soggetti a vincolo paesaggistico. Sull’argomento il dibattito è stato prolifico, condizionato da una serie di incertezze interpretative e da un contesto normativo che deve essere letto alla luce dei rapporti che intercorrono tra il contesto ambientale e le destinazioni d’uso. La sentenza n. 10056 del 26 maggio 2025 del Tar del Lazio contribuisce a fare un po’ di chiarezza, perché affronta un caso emblematico.

Nel caso preso in esame nel Lazio il proprietario di un’unità immobiliare, la quale, almeno originariamente, era stata censita al catasto come magazzino, ai sensi della Legge n. 326/2003 – il cosiddetto Terzo Condono – ha presentato istanza di condono edilizio. Alla documentazione tecnica il soggetto ha provveduto ad allegare la documentazione con la quale ha attestato che il cambio di destinazione edilizia era stato effettuato senza che venissero effettuate delle opere edilizie.

Il fabbricato oggetto della richiesta è ubicato all’interno di una zona sottoposta a vincolo paesaggistico, così come prevede l’ex articolo 142 lett c) del D.lgs n. 42/2004, ossia il Codice dei beni Culturali e del Paesaggio. Il proprietario non aveva chiesto né ottenuto l’autorizzazione paesaggistica. Non era stato nemmeno richiesto il parere dell’ente preposto alla tutela.

Nell’imbastire l’istruttoria, l’amministrazione comunale competente ha riscontrato che mancava il suddetto nulla osta paesaggistico. Ha deciso, quindi, di rigettare l’istanza di sanatoria: il condono edilizio è inammissibile a causa delle difformità che sono state realizzate nelle aree vincolate prive del necessario parere favorevole espresso dall’autorità competente.

Di parere opposto il proprietario, che ha sostenuto – nel ricorso – che per l’immobile è stato chiesto un semplice cambio di destinazione: non era stata effettuata una trasformazione edilizia vera e propria. Questo è il motivo per il quale l’operazione non è sottoposta al vincolo paesaggistico. Secondo il ricorrente, inoltre, per il condono edilizio straordinario non sarebbe stata necessaria una doppia conformità urbanistica e paesaggistica.

Il cambio di destinazione d’uso è sempre rilevante

Il diniego, secondo il Tar del Lazio, è legittimo. Il mutamento di destinazione d’uso da magazzino ad abitazione, anche se non sono state effettuate delle opere edilizia, è a tutti gli effetti una trasformazione urbanistica rilevante, che ha un impatto diretto sul paesaggio tutelato. Questo significa, in altre parole, che il condono edilizio è subordinato al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, che nel caso analizzato non è mai stata richiesta.

Siamo davanti ad un principio molto importante che ha una portata generale. Nel momento in cui viene effettuata una modifica funzionale – la quale vada ad incidere sulla fruizione, sull’uso o sulla percezione del bene tutelato – si realizza anche una trasformazione rilevante sotto il profilo paesaggistico. Questo è il motivo per il quale è necessaria una specifica autorizzazione.

Limiti di applicabilità del terzo condono edilizio

Tra l’altro la decisione presa dal Tar del Lazio si va ad allineare ad un orientamento consolidato. Il condono edilizio non può essere utilizzato per sanare degli abusi effettuati in una zona vincolata, se non viene allegata l’autorizzazione paesaggistica. La Legge n. 326/2003 ha subordinato la sanatoria alla compatibilità paesaggistica che deve essere accertata attraverso il parere vincolante espresso dalla Soprintendenza.

Nel momento in cui dovesse mancare il suddetto parere, il comune ha la possibilità di respingere l’istanza di condono, anche se non sono state realizzate delle opere edilizie.

Questo significa che il cambio d’uso verticale – che avviene all’interno della stessa unità – non è irrilevante in modo automatico dal punto di vista paesaggistico, ma è necessario che venga valutato in relazione all’incidenza funzionale sul bene che viene tutelato.

I giudici, su questo argomento, ricordano il comma 27, articolo 32 del Decreto Legge n. 269/2003, il quale prevede che le opere abusive non sono sanabili nel momento in cui:

Siano state realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali qualora istituiti prima della esecuzione di dette opere, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici.

Pierpaolo Molinengo

Autore

Pierpaolo Molinengo

Pierpaolo Molinengo è un giornalista freelance. Ha una laurea in materie letterarie e ha iniziato ad occuparsi di Economia fin dal 2002, concentrandosi dapprima sul mercato immobiliare, sul fisco e i mutui, per poi allargare i suoi interessi ai mercati emergenti ed ai rapporti Usa-Russia. Pierpaolo Molinengo scrive di attualità, tasse, diritto, economia e finanza.

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