Quando è legittimo ricorrere all’annullamento di un condono in autotutela? È possibile farlo oltre i termini consentiti? Ad intervenire a gamba tesa su questo argomento ci ha pensato il Consiglio di Stato che ha ricordato in quali casi è possibile annullare alcuni atti.
Ma cerchiamo di capire meglio. Una delle possibilità date alla Pubblica Amministrazione è quella di poter esercitare il diritto di autotutela, che può consistere nell’annullamento d’ufficio di una serie di provvedimenti amministrativi. Questa opzione può essere esercitata quando gli atti vengono ritenuti viziati o illegittimi.
La normativa in vigore ha stabilito un periodo temporale ben definito entro il quale la PA ha la possibilità di esercitare il proprio diritto di autotutela. È prevista una sola eccezione a questa regola, la quale coinvolge i provvedimenti che sono stati emanati a seguito di false rappresentazioni dei fatti. O per quelli che si basano su delle dichiarazioni mendaci per effetto di condotte che costituiscono, a tutti gli effetti, un reato e che sono state accertate con una sentenza passata in giudicato. Questi provvedimenti possono essere annullati anche dopo la scadenza dei termini fissati dalla legge.
Annullamento d’ufficio del condono: i casi in cui si applica la deroga
A fornire alcune indicazioni sull’annullamento d’ufficio in autotutela ci ha pensato il Consiglio di Stato, attraverso la sentenza n. 2856 del 26 marzo 2024 con la quale è stato accolto – almeno parzialmente – il ricorso contro l’annullamento d’ufficio in autotutela che è stato disposto da un Comune su provvedimento attraverso il quale era stato rilasciato un condono edilizio.
I giudici hanno preso la propria decisione basandosi su quanto previsto dall’articolo 21-nonies della Legge n. 241/1990, anche nota come Legge sul Procedimento Amministrativo. La normativa ha il compito di disciplinare l’annullamento dei provvedimenti in autotutela e permette all’amministrazione comunale di beneficiare di un tempo massimo di 12 mesi – in precedenza erano 18 – per provvedere al loro annullamento quando fossero ritenuti illegittimi.
Una volta superato il termine massimo di un anno è possibile annullare esclusivamente:
- eventuali provvedimenti che siano stati emanati a seguito di false rappresentazioni dei fatti;
- i provvedimenti che sono stati rilasciati sulla base di dichiarazioni sostitutive di certificazioni e dell’atto di notorietà che si sono dimostrati falsi o mendaci a seguito di una serie di condotte che costituiscono a tutti gli effetti reato. Le violazioni della legge devono essere state accertate con sentenza passata in giudicato.
In quali casi, però, è possibile esercitare l’autotutela oltre i termini? Per poter procedere con l’annullamento di un provvedimento è necessario dimostrare che il privato abbia dichiarato il falso. Al contrario non è possibile procedere con un annullamento d’ufficio nel caso in cui il provvedimento sia stato emanato per l’incompetenza della Pubblica Amministrazione.
Il caso preso in esame: l’annullamento di un condono
Il Consiglio di Stato, nel caso preso in esame, ha sostanzialmente bocciato la valutazione effettuata dall’amministrazione comunale e dal TAR. Il Comune, dal canto suo, deve obbligatoriamente svolgere un’istruttoria completa, attraverso la quale deve verificare e accertare che sussistano i presupposti, prima di procedere con il rilascio di un condono edilizio.
L’amministrazione comunale che non dovesse procedere con queste operazioni si renderebbe colpevole di un’inadempienza. Nulla, in questo caso, sarebbe da imputare al privato che è riuscito ad ottenere un condono senza aver mentito o dichiarato il falso.
Provvedimenti rilasciati a seguito di dichiarazioni veritiere
Al centro della contestazione, che è arrivata fino al consiglio di Stato, c’è la chiusura di una terrazza collocata in un giardino di un hotel. Il manufatto avrebbe dovuto essere realizzato a meno di 10 metri rispetto al tratto fronteggiante dell’edificio della proprietà confinante: un altro hotel.
Dopo l’accoglimento della richiesta di condono, il proprietario dell’hotel confinante ha impugnato il provvedimento, contestando il mancato rispetto delle distanze tra gli edifici. In altre parole, il condono sarebbe stato rilasciato violando gli standard urbanistici che sono stati introdotti attraverso il Decreto Ministeriale n. 1444/1968.
Dato che erano trascorsi i termini previsti dalla legge – in quel periodo si parlava di 18 mesi – l’annullamento del provvedimento è stato archiviato. A riaprire la partita, però, ci pensò il TAR che ha accolto un nuovo ricorso proposto dal vicino: i giudici hanno ritenuto che potesse essere esercitato il potere di autotutela oltre i termini.
Il motivo per cui si sarebbe potuto annullare il condono è da addebitarsi al fatto che il richiedente non ha precisato che l’edificio si trovava a una distanza inferiore ai 10 metri da quello confinante: questa omissione si configura a tutti gli effetti come una falsa rappresentazione della realtà.
Secondo il Consiglio di Stato – il quale non ha smentito l’interpretazione della falsa rappresentazione del TAR – è necessario accertare se la rappresentazione dei fatti sia realmente mendace e che la situazione rappresentata falsamente abbia realmente inciso sulla decisione di adottare il provvedimento. Il soggetto che ha richiesto il condono, in questo caso, non avrebbe operato alcuna falsa rappresentazione, dato che la situazione risultava facilmente constatabile dalle fotografie che sono state allegate.
Prima di rilasciare il condono, il Comune avrebbe dovuto verificare meglio la sussistenza dei requisiti. La sanatoria, a questo punto, risulta essere valida a tutti gli effetti.