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A fronte dell’enorme beneficio fiscale introdotto con il Superbonus 110% il fisco ha inasprito i controlli, soprattutto sulle opzioni per la cessione e lo sconto in fattura, al fine di scongiurare indebiti utilizzi in compensazione dei crediti d’imposta relativi all’agevolazione.

Nelle ipotesi in cui dai controlli effettuati risulti la mancata sussistenza, anche parziale, dei requisiti che danno diritto alla detrazione d’imposta, l’Agenzia delle entrate procederà al recupero dell’importo corrispondente alla detrazione non spettante, maggiorato di interessi e sanzioni, nei confronti dei beneficiari della detrazione e, qualora si dovesse riscontare il relativo reato di indebita compensazione di crediti non spettanti o inesistenti, gli atti dovranno essere trasmessi alla Procura competente.

Sulla fattispecie in questione si è di recente pronunciata anche la Corte di Cassazione penale che, con la sentenza n. 25922 dell’11 settembre 2020, ha stabilito che in caso di mancata presentazione della precedente dichiarazione fiscale, sarà onere dell’imputato dimostrare la spettanza del credito compensato.

Nel caso di specie la Corte è stata chiamata a decidere le sorti di un contribuente indagato per aver commesso il reato di indebita compensazione, di cui all’art. 10-quater del D.Lgs. n. 74/2000 che stabilisce che “è punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa le somme dovute, utilizzando in compensazione, ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, crediti non spettanti, per un importo annuo superiore a cinquantamila euro”.

Secondo quanto deliberato dalla Cassazione, anche nel giudizio penale l’imputato può sottoporre questioni attinenti all’esistenza e alla spettanza del credito, in questo caso in riferimento al reato di indebita compensazione, che devono essere oggetto di accertamento. Pertanto, ricade sul contribuente l’onere di provare la correttezza della propria condotta e di allegare eventuali impugnazioni presentate innanzi al competente giudice tributario; non tocca quindi all’accusa entrare nel merito dell’accertamento della pretesa tributaria ma è l’imputato che deve contestare la sussistenza dei presupposti del reato offrendo elementi di giudizio per valutare la pretesa.

La Corte ha affrontato il tema dell’onere della prova della spettanza del credito in caso di mancata presentazione della precedente dichiarazione fiscale ed ha richiamato un principio sancito dalla propria giurisprudenza, secondo cui “la mancata presentazione della dichiarazione impedisce la verifica della spettanza del credito e si pone come condizione ostativa alla successiva legittima utilizzazione in occasione della compensazione con altri debiti nei confronti dell’Erario”.

Fondamentale per determinare la spettanza del credito, infatti, “è il dettato dell’art. 17 d.lgs. n. 241 del 1997, richiamato dall’art. 10-quater d.lgs. n. 74 del 2000, dal quale è possibile evincere che sono spettanti i crediti risultanti dalle dichiarazioni e dalle denunce periodiche presentate successivamente alla data di entrata in vigore del decreto”.

Sulla base di tali conclusioni, il Supremo Collegio ha dunque ritenuto che “a fronte della formulazione della norma e del suo meccanismo di funzionamento attraverso il rinvio alla norma extrapenale dell’art. 17 d.lgs. n. 241 del 1997, non è onere dell’Accusa entrare nel merito dell’accertamento della pretesa tributaria, piuttosto dell’imputato contestare la sussistenza dei presupposti del reato, offrendo elementi di giudizio per valutar la pretesa”.

Avv. Francesca Micheli

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Avv. Francesca Micheli

Francesca Micheli è avvocato del foro della Spezia. Esperta in diritto civile, della famiglia e delle successioni ha svolto negli anni numerosi corsi di formazione e convegni presso ordini professionali sia in aula che in modalità webinar, oltre a svolgere la libera professione nel proprio foro di appartenenza.

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