È una variazione essenziale al titolo, a tutti gli effetti, un cambio di destinazione d’uso che comporti una modifica degli standard imposti in materia urbanistica. Nel caso in cui si dovesse configurare questa situazione, gli enti preposti possono chiedere la demolizione dell’opera. E il ripristino dei luoghi originari.
Nel caso in cui la modificazione della destinazione d’uso dovesse coinvolgere delle categorie non omogenee tra loro, ha una conseguenza ben precisa. Quando un intervento edilizio determina degli incrementi del carico urbanistico, anche quando le modifiche risultino essere semplicemente funzionali e non dovessero aver comportato la realizzazione di nuove opere edilizie, l’operazione risulta sempre assoggettata al rilascio del permesso di costruire.
Cambio di destinazione d’uso: le regole per le categorie disomogenee
A fare il punto della situazione sul cambio di destinazione d’uso per le categorie disomogenee è il TAR Lazio, attraverso la sentenza n. 6862 del 9 aprile 2024. Nel caso preso in esame, i giudici hanno deciso di rigettare il ricorso proposto, con il quale veniva richiesto l’annullamento di un’ordinanza di demolizione, che si riferiva a degli interventi di modifica d’uso rilevante e di chiusura di una tettoia.
L’articolo 32 del DPR n. 380/2001 fornisce i dettagli essenziali per determinare le variazioni essenziali. Il TUIR, nello specifico, prevede che siano direttamente le amministrazioni regionali a determinare quale siano le variazioni. Le regioni devono, ad ogni modo, tenere nella dovuta considerazione alcuni elementi, che sono considerati essenziali per determinare le modifiche al progetto. Tra questi ricordiamo:
- i mutamenti alla destinazione d’uso che implichino delle variazioni agli standard urbanistici, previsti dal Decreto ministeriale del 2 aprile 1968;
- gli eventuali mutamenti consistenti della cubatura o della superficie del solaio;
- la presenza di sostanziali modifiche dei parametri urbanistico-edilizi, che dovessero essere stati approvati o, in alternativa, la localizzazione dell’immobile;
- i mutamenti delle caratteristiche connesse all’intervento approvato;
- la presenza di violazioni alle prescrizioni di tutela antisismica.
Il passaggio tra categorie disomogenee
Un eventuale cambio di destinazione d’uso che dovesse comportare il passaggio tra diverse categorie disomogenee, quando non è previsto dal progetto iniziale, deve essere considerato come una variazione essenziale. Anche quando non sono presenti delle opere. L’intervento realizzato, infatti, va a incidere sul carico urbanistico. E come tale risulta essere suscettibile di sanzione ripristinatoria.
La disposizione, che abbiamo appena visto, non viene precisata unicamente dal TUE. Ma viene ribadita anche dalla normativa regionale, che è stata applicata in maniera corretta dall’amministrazione nel caso preso in esame. Nello specifico ci si riferisce alla Legge Regionale n. 15/2008 della Regione Lazio, attraverso la quale è stato previsto che i cambi di destinazione d’uso da una categoria all’altra, prevede che debbano essere sanzionati con la demolizione entro un periodo congruo di tempo inferiore a 120 giorni.
La sanatoria pendente non blocca la demolizione
Il Tar del Lazio, in estrema sintesi, ha confermato l’efficacia del provvedimento attraverso il quale veniva chiesto il ripristino delle opere originarie, anche attraverso una tamponatura della tettoia in aderenza all’immobile. L’operazione doveva essere effettuata entro 60 giorni dalla notifica.
Il cambio di destinazione d’uso costituisce una variazione essenziale, che non risultava essere prevista dal progetto iniziale, che era stato approvato tramite una DIA. Per l’ampliamento è stata inoltrata un’apposita istanza di sanatoria – che risulta essere pendente da dieci anni – per la mancata presentazione della documentazione aggiuntiva che era stata richiesta direttamente al ricorrente. La documentazione non è stata presentata perché servirebbe la collaborazione del condominio, nel quale insiste l’immobile, il quale, però, ha fatto causa perché si è dichiarato contrario ai lavori che sono stati effettuati.
Il caso preso in esame dal TAR del Lazio risulta essere interessante perché non è stata rilevata alcuna violazione della normativa connessa all’accertamento di conformità prevista dall’articolo 36 del TUE. L’ordinanza di demolizione non si scontra con la richiesta di sanatoria, perché, vista la particolare vicenda, quest’ultima difficilmente potrà andare a buon fine data la contrarietà del condominio.
Il ricorrente ha richiamato la fiscalizzazione dell’abuso che permette l’applicazione di una sanzione pecuniaria al posto di quella ripristinatoria, nel momento in cui la demolizione delle opere aggiuntive non può essere effettuata senza arrecare dei danni all’immobile che è stato autorizzato in maniera corretta. Nel provvedimento demolitorio si trova specificato che un accertamento tecnico ha attestato che le opere abusive possono essere demolite senza alcun rischio per le strutture preesistenti.
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