I balconi costituiscono un elemento fondamentale nel calcolo della distanza tra due diversi fabbricati. Sono, infatti, delle sporgenze solide e stabili e che, come tali, fanno parte stabilmente della superficie dell’immobile. I balconi, in altre parole, costituiscono un elemento che fa parte dell’edificio e del quale è necessario tenere conto per determinare una distanza. A ribadirlo, attraverso la sentenza n. 3398 del 15 aprile 2024, è il Consiglio di Stato, che ha provveduto a fissare un ulteriore punto fermo circa questo particolare elemento.
Nel momento in cui si effettuano i calcoli tra le distanze degli edifici, non si devono prendere in considerazione unicamente gli elementi aggettanti, che abbiano una semplice ed esclusiva funziona artistica e ornamentale.
I balconi rientrano tra i limiti urbanistici inderogabili
Con la sentenza n. 3398 del 15 aprile 2024, il Consiglio di Stato è intervenuto a gamba tesa sulle distanze tra due immobili. I giudici hanno, infatti, rigettato un ricorso che era stato proposto contro un provvedimento di diffida di prosecuzione dei lavori, disposto da un’amministrazione comunale e che riguardava la realizzazione di due balconi e per i quali non si era preso in considerazione il problema della distanza tra fabbricati.
L’articolo 41- quinquies della Legge n. 1150/42 – anche conosciuta come Legge Urbanistica – prevede che in ogni Comune vengano osservati alcuni limiti di densità edilizia, altezza e distanza tra i singoli fabbricati. I vincoli risultano essere inderogabili e sono stati fissati in base a degli specifici parametri classificati per categorie omogenee e contenuti all’interno del DM n. 1444/1968.
L’articolo 9 del decreto appena citato – che è stato rubricato come Limiti di distanza tra i fabbricati – prevede che le distanze da rispettare siano definite per aree omogenee. Nel caso preso in esame la distanza minima è stata fissata in 10 metri tra le pareti finestrate e le pareti di edifici antistanti.
Il Consiglio di Stato, basandosi su questo principio, ha sostanzialmente condiviso quanto deciso dal Comune che ha provveduto a diffidare il ricorrente dalla realizzazione di due balconi aggettanti. I due manufatti sarebbero in contrasto con il limite di dieci metri che è stato imposto dalla normativa: il fabbricato in questione, infatti, risultava già essere a una distanza inferiore dall’edificio costruito di fronte, rispetto a quella prevista dalla normativa.
Dato che ci troviamo davanti a una distanza non regolamentare è possibile realizzare unicamente delle aperture del tipo luci, come è stato specificato all’interno del Permesso di Costruire, che era stato rilasciato nel corso del 2004 e dalla richiesta di variante che era stata presentata in un momento successivo.
Cosa deve essere sempre considerato
Stando a quanto indicato dai giudici di Palazzo Spada, quando si presentano dei casi del genere, non serve appellarsi alle caratteristiche delle opere che si vorrebbero realizzare.
I balconi, anche quando sono di modesta entità e sono aggettanti sull’immobile, devono rispettare una serie di limiti inderogabili, che sono contenuti all’interno del decreto citato in precedenza.
Le caratteristiche che abbiamo appena visto non escludono per l’opera in esame la nozione di costruzione rilevante ai fini delle distanze legali minime. Si tratta, infatti, di vere e proprie sporgenze solide e stabili, che vanno ad ampliare la superficie dell’abitazione e che, come tali, devono essere considerate con un corpo di fabbrica.
Su questo stesso argomento, in tempi recenti, è intervenuta anche la Corte di Cassazione, la quale ha chiarito che:
I balconi devono sempre essere considerati ai fini del calcolo della distanza tra edifici e tra questi ed il confine. Le sole parti delle quali può non tenersi conto, in detto calcolo, sono quelle aggettanti, aventi una funzione esclusivamente artistica ed ornamentale, quali fregi, sculture in aggetto e simili.
Un qualsiasi regolamento edilizio che non tenga nella dovuta considerazione l’estensione del balcone per misurare le distanze tra gli edifici, deve essere considerato contra legem. Viola, infatti, quanto è stato stabilito dalla Legge n. 765/1967 (anche conosciuta come Legge Ponte), che ha provveduto a integrare l’articolo 41-quinquies alla Legge Urbanistica, con la quale si è giunti a definire i criteri inderogabili per determinare le distanze che intercorrono tra due differenti edifici.
Nel caso preso in esame, quindi, il provvedimento emanato dal Comune con il quale si diffidava a proseguire con i lavori è stato ritenuto valido.